Quale servizio civile per quale difesa

"Le memorie di cinquat'anni di opzione fondamentale per la nonviolenza, come scelta di tutta la vita, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in maniera straordinariamente ordinaria, alla portata di tutti noi." La testimonianza di obiezione di coscienza e di una vita spesa per la pace e il ripudio delle armi, all'uscita del nuovo libro

Quale servizio civile per quale difesa

"La prima volta che ho sentito parlare di obiezione di coscienza è stato alle medie grazie al mio insegnante di religione, don Arnaldo Baga, che ci aveva fatto leggere durante la sua ora un articolo, di Giancarlo Zizola sul Il Giorno, sul processo a don Lorenzo Milani perché aveva difeso gli obiettori di coscienza contro gli insulti dei cappellani militari. In prima superiore un altro insegnante di religione, padre Ferretti, mi diede, in modo semiclandestino, la lettera ai giudici di don Lorenzo, nella versione della Libreria editrice fiorentina intitolata “L’obbedienza non è più una virtù”. Approfondii nel corso di quegli anni le vicende giudiziarie di padre Balducci, che venne anche a Parma, e di Fabrizio Fabbrini, chiamato dai missionari saveriani, mentre nella comunità parrocchiale alla quale partecipavo leggevamo la “Pacem in terris” di Papa Giovanni XXIII e la “Gaudium et spes” del Concilio ecumenico Vaticano II, insieme al Manifesto contro la guerra di Einstein e Russell e “Antiche come le montagne” di Gandhi.

L’impegno per la pace coinvolgeva molti giovani, ragazzi e ragazze, unito a quello che allora si chiamava il terzomondismo, contro la logica coloniale e guerrafondaia che ancora perdurava ad oltre vent’anni dalla fine della seconda guerra  mondiale. Proprio a Parma si tenne la prima marcia di Mani tese il 5 maggio 1970, dopo i  campi di lavoro delle due estati precedenti (coordinati da Graziano Zoni e padre Silvio Turazzi, in uno dei quali fu presente l’Abbé Pierre).

Circolavano sempre più testi profetici tra noi, come quello di don Primo Mazzolari “Tu non uccidere”, i discorsi sulla pace del cardinal Giacomo Lercaro, libri di Gandhi e di Martin Luther King o saggi di teologi come Bernard Haring, Karl Rahner e Edward Schillebeeckx che invitavano esplicitamente i cristiani alla scelta nonviolenta. Nel ’67 era anche uscito “Tecniche della nonviolenza” di Aldo Capitini che aggiunse ulteriore concretezza a scelte politiche e sociali che non potevano essere confinate solo nella sfera ideale e dell’etica individuale.

Quando nel settembre 1972 andai a Roma ad un congresso dell’Acr (Azione cattolica ragazzi) di cui ero responsabile diocesano, ne approfittai per andare nella sede della Lega per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, in via di Torre argentina, dove c’era il Partito radicale. La sede era caotica, con molta confusione e piuttosto sporca (nel gabinetto c’era un cartello con una scritta a mano: “facciamo che il colera a Roma non parta da qui”). Era difficile riuscire a parlare con qualcuno, ma riuscii ad ottenere un libretto con la proposta di legge che sarebbe stata approvata il 15 dicembre dello stesso anno (primo firmatario  Giovanni Marcora). In quell’occasione ebbi anche  informazioni più personali su alcuni obiettori di coscienza che erano in carcere per la loro scelta e che furono liberati con l’approvazione della legge. Avevo infatti partecipato quello stesso anno ad una manifestazione davanti al carcere di Peschiera proprio per ottenere la liberazione degli obiettori lì detenuti (tra i quali ricordo Alberto Trevisan che ebbi modo di conoscere in seguito). 

Il 1973 fu impegnato nel cercare le modalità per la dichiarazione di obiezione di coscienza, con espliciti messaggi negativi da parte del Distretto militare di Piacenza e dei carabinieri (che addirittura andarono nel luogo di lavoro di mio padre per consigliargli di non farmi proseguire nella mia scelta che mi avrebbe creato dei problemi per il lavoro!).

La decisione era certa e così arrivai alla mia dichiarazione di obiezione di coscienza. Intanto la Lega era diventata degli obiettori di coscienza (Loc) e ripresi i contatti all’inizio del 1974, anche per capire le opportunità di servizio civile alternativo. Che erano del tutto inesistenti. La proposta del Ministero era di svolgere servizio non armato nelle caserme e chi rifiutava era denunciato per renitenza alla leva. La Loc era  molto orientata alla diffusione della legge 772 (era uscita nel 1973 una prima guida da Savelli e nel 1974 un libretto curato da Roberto Cicciomessere e Mario Pizzola) e meno alla costruzione di opportunità di servizio civile. Così andai dove erano già stati riconosciuti posti per il servizio civile alternativo a Ivrea, dove era Vescovo don Luigi Bettazzi e al Gruppo Abele a Torino, e per le esperienze di Trieste incontrai  Franco Basaglia, che insegnava allora a Parma.

Nello stesso anno era stato approvato un corso per venti obiettori alla Comunità di Capodarco con alcuni distaccati al Gruppo Volontari Cristiani (Gvc) di Modena che incontrai. Ottenni da tutti loro informazioni preziose e la proposta di provare ad attivare una convenzione con un ente locale per aprire la strada a maggiori opportunità di servizio civile per molti obiettori in ogni parte d’Italia.

Così iniziò il lungo percorso con l’Amministrazione provinciale di Parma (grazie al sostegno del Presidente Arturo Montanini) con il primo gruppetto di obiettori e nostri sostenitori e sostenitrici con cui avevamo aperto una sede presso l' ”Inventificio popolare” della rivista Nuovi quaderni della famiglia Toesca in via Romagnosi. E insieme si avviò il mio impegno nella Loc che mi portò nella segreteria nazionale dal 1975 al 1978 (poi rimasi nel consiglio nazionale fino al 1983).

A seguire il documento che lessi nel congresso di Milano del gennaio del 1975 che fa capire il tipo di scelte e di impegno che mi assunsi, insieme ad altri obiettori di altre province italiane (ricordo in particolare con affetto Umberto Montori di Bologna e Franco Rigosi di Vicenza).

Diffondere l’obiezione di coscienza e il servizio civile

Il nostro impegno è per smilitarizzare la violenza strutturale e culturale che pervade la nostra società.
Le forze armate sono il simbolo delle istituzioni violente non democratiche che permeano la repressione sociale in tante altre istituzioni totali come le carceri, i manicomi, gli istituti per persone sole, povere ed emarginate, usate per un controllo sociale pervasivo.
Sono anche un rischio per la democrazia come dimostrano i tentativi eversivi in Italia e i golpe militari in tanti Stati del mondo.
Le spese per le armi e le forze armate sono inoltre una sottrazione di risorse nei confronti di bisogni primari che sono reclamati dai diritti di ogni uomo sulla Terra.
Come obiettori di coscienza nella nostra lotta antimilitarista vogliamo anche rappresentare l’idea di una difesa diversa a favore degli oppressi della nostra società, con modalità nonviolente, anche nelle soluzioni dei conflitti sociali e tra Stati che emergono.
Pur sostenendo le lotte degli obiettori totali che rifiutano il servizio civile come punitivo e riduttivo di una radicale scelta disarmista, riteniamo che il servizio civile previsto dalla legge 772/1972 possa offrire una prospettiva nuova e concreta di difesa, purché non separi mai la lotta antimilitarista e l’impegno sociale nonviolento.
Il servizio civile che vogliamo costruire deve allora fare scelte concrete:

  1. a fianco degli sfruttati e degli emarginati

  2. superando forme di separazione e costrizione (come sta avvenendo con l’apertura di alcuni manicomi, orfanotrofi e istituti per invalidi e anziani)

  3. con la condivisione di vita con le persone più fragili che porti ad una effettiva partecipazione a tutti i luoghi di vita sociale (dalla scuola al lavoro, dalle case ai luoghi di ritrovo e di divertimento, anche culturale e sportivo)

  4. dare voce a chi non ha voce, facendo capire che quanto vogliamo fare non è in contrasto con i lavoratori delle varie “istituzioni totali”, ma vuole creare nuove opportunità di vita ed anche di lavoro più rispettose di ogni persona e dei suoi diritti

  5. il nostro ruolo come obiettori non può essere tecnico, certo dobbiamo maturare competenze ma per usarle per superare logiche di separazione e per mostrare come ogni luogo di vita possa diventare luogo di cittadinanza attiva per tutti

  6. il nostro servizio gratuito deve mostrare l’apporto della società intera a questa opera di liberazione di chi è emarginato e non può mai essere vissuto né interpretato come subordinato al lavoro dei luoghi dove opereremo

  7. il nostro servizio deve essere visibile, aperto al confronto, per cui occorre che siano previsti tempi stabili di dibattito e formazione con chi opera nei servizi dove andremo e con la cittadinanza che dovremo coinvolgere nelle nostre attività, facendo in modo che gli uni e gli altri ci sentano parte di uno stesso cammino e non estranei o peggio competitori o pericolosi

  8. dobbiamo fare emergere quanto non va, gli errori fatti, operando senza fretta, attraverso una adeguata condivisione dei percorsi, per dimostrare, come già avvenuto in tanti luoghi, che una società più aperta ed accogliente fa bene a tutti, in ogni età e in ogni luogo

  9. come obiettori possiamo dimostrare che istruzione, salute e lavoro possono essere diritti di tutti, e si può vivere uscendo dalla logica violenta della segregazione e di una sicurezza che non previene ma reprime

  10. dobbiamo dare voce e volto alle singole persone che incontriamo evitando ideologia e generalizzazioni, cercando incontri tra persone che possano creare cammini comuni, di vita condivisa

Io personalmente, sostenuto da esperienze in corso, come nei servizi di salute mentale te nelle opportunità territoriali a Trieste, mi impegno a cercare le condizioni affinché anche gli Enti locali (a partire dalle Province per le loro funzioni in materia sociale, sanitaria e della formazione) possano confrontarsi con le nostre proposte e, attraverso convenzioni con il Ministero della Difesa, proporre spazi per il nostro servizio civile con queste ed altre caratteristiche che l’esperienza ci suggerirà.
Anche i corsi di formazione dovranno essere obbligatori e considerati come parte del servizio civile, offrendo l’opportunità per conoscerci meglio, fare conoscere le nostre scelte nonviolente e programmare i nostri interventi con chi opera nei servizi scelti.
L’attività di promozione della scelta dell’obiezione di coscienza, per diffondere la cultura della nonviolenza e di una difesa non armata dovrà essere garantita concordando i tempi  con gli enti nei quali svolgeremo il servizio civile.

Gennaio 1975



Esperienze per una societA' nonviolenta

Nel 1975 iniziò un lunghissimo percorso, con numerosissimi incontri e tanti ostacoli burocratici, per cercare una convenzione per posti di servizio civile presso l’ Amministrazione provinciale di Parma. Alla condivisione ideale per la nostra scelta si manifestavano le loro, giustissime, insofferenze per l’atteggiamento iper burocratico del Ministero della Difesa. Erano continui documenti che venivano richiesti, spesso da rimandare con ulteriori precisazioni cavillose.
Nell’incontro a Roma, al quale accompagnai il funzionario della Provincia Luigi Cavatorta, per quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo accordo, ci fu spiegato che il dettaglio per i costi sostenuti per il mantenimento degli obiettori, da rimborsare alla Provincia, non era accettabile in quanto mancava il costo pro capite (!) per il lavaggio degli “effetti letterecci” e dei pasti, con divisione dei costi tra colazione, pranzo e cena. Ci fu data, da un impiegato disponibile, un grosso volume con il dettaglio dei costi pro capite  che arrivava a definire il costo dell’acqua e dei detersivi per lavare le lenzuola o per il tè o per la pasta, e quello del sale, del gas…Tutto da calcolare come spesa per ogni persona, con tanti zeri dopo la virgola!

La pazienza degli uffici delle Provincia provò a rispondere anche a queste richieste, arrivando alla conclusione della estenuante trattativa nel novembre del 1975 (anche grazie all’aiuto di alcuni parlamentari locali, in particolare Carlo Buzzi, che mi mise in contatto con Carlo Francanzani, della sinistra democristiana che aveva redatto una prima proposta di legge sull’obiezione di coscienza più aperta di quella di Marcora che fu poi approvata), e Gaetano Arfè, che mi fissò un incontro con Sandro Pertini, allora presidente della Camera. Io ho letto una buona parte dei libri per la mia tesi nelle attese delle varie anticamere e nei numerosi viaggi a Roma, finanziati dalla mia famiglia.

Un episodio che manifesta la nostra ingenuità e insofferenza per i ritardi del Ministero ci fu nell’autunno del 1975 quando con un gruppo di obiettori, per richiedere l’attenzione del Ministero della difesa, occupammo l’ingresso della sede di via XX settembre. Fummo immediatamente presi e rinchiusi in una stanza dopo essere stati identificati. Dopo qualche ora uno dei nostri compagni che era rimasto in strada si mise in contatto con i radicali per fare venire Marco Pannella, che riuscì a farci uscire dopo una telefonata al ministro Forlani, e non mancò di rimproverarci per non avere concordato prima l’iniziativa chiamando la stampa al nostro seguito. 

Nel frattempo con la sede locale della Loc svolgemmo molti incontri anche nella nostra provincia per diffondere la possibilità della scelta dell’obiezione di coscienza e così ai primi 4 (Dante Tagliavini, Turno Gabbi, Gianluca Battaglioli ed io) si unì una decina di altri giovani tra il 1975 e 1976.
Nei miei incontri a Roma avevo avuto la possibilità di conoscere anche alcune persone del Movimento internazionale della Riconciliazione (Tullio Vinay, Hedy Vaccaro, Alberto L’Abate, Beppe Marasso e Tonino Drago in particolare) che mi segnalarono che padre Giangiacomo Rotelli si era trasferito presso la comunità dei gesuiti di Parma e faceva parte del loro movimento. Fondammo dunque un gruppo locale di quello storico movimento nonviolento, con la prevalenza di donne e con il contributo decisivo di Gildo Nardon e Rina Passera.

Iniziarono così anche numerose iniziative sulla nonviolenza che si integrarono con quelle della Loc. Molte fornirono opportunità anche per la formazione degli obiettori che riuscimmo a fare riconoscere come obbligatoria dal Ministero nel primo mese all’inizio del servizio civile.
Credo per la prima volta a Parma, si proposero grazie al Mir degli incontri sulla nonviolenza gandhiana e cristiana, sulla difesa civile nonviolenta, sulla conversione dell’industria bellica in civile, proiettammo film contro la guerra e invitammo storici a parlare delle “inutili stragi” e delle varie esperienze storiche di resistenza nonviolenta.

Finalmente nel gennaio 1976 le “cartoline precetto”, tante volte annunciate, arrivarono a 32 obiettori di diverse regioni italiane con la data dell’inizio del servizio civile presso l’Ospedale psichiatrico di Colorno, Amministrazione provinciale di Parma: 14 febbraio 1976, con conclusione il 14 ottobre 1977, eccetto i chiamati alla leva di marina che avrebbero dovuto finire il 14 luglio 1978.
Tralascio le complicazioni burocratiche che subimmo, io come interlocutore della Provincia, i controlli continui dei Carabinieri, per ricordare con gratitudine l’assessore Maria Bocchi (la partigiana Kitty),  il direttore dell’Ospedale psichiatrico di Colorno, Ferruccio Giacanelli (e in particolare i suoi collaboratori Vincenzo Scalfari e Maria Zirilli), e lo straordinario responsabile dei servizi sul territorio, Vincenzo Bagnasco, che sentimmo compagni di strada, sempre pronti a sostenerci e a valorizzare la nostra collaborazione con grande pazienza e rispetto.

Di seguito la mia relazione alla fine del servizio civile, con tutta la semina di esperienze che videro nel corso del tempo tante prosecuzioni nel sociale e nelle scelte per uno sviluppo senza violenza. 

Il mio servizio civile

Ho svolto il mio servizio civile tra l’Ospedale psichiatrico di Colorno e il Centro Lubiana, nel quartiere Lubiana - San Lazzaro a Parma, dal 14 febbraio 1976 al 24 ottobre 1977.
Il Centro Lubiana, dove ho svolto la maggior parte del mio impegno, ospita 12 minori handicappati gravi e gravissimi, quattro di loro anche la notte. Questo Centro era stato pensato, al suo avvio nel 1993, come centro di quartiere, come luogo di aggregazione per attività e gruppi diversi, dai minori agli anziani, per varie forme di animazione. Purtroppo questo non è avvenuto e l’attività si è concentrata più all’interno del Centro, in cui si vivono relazioni e un clima familiare.

  • Come figure non strutturate né istituzionali siamo stati incaricati di riprendere le proposte di apertura del centro, condividendole con il personale sanitario e le assistenti sociali.

    La nostra presenza stabile per tutta la giornata (siamo in tre obiettori per una media di dieci ore al giorno ognuno, oltre al sabato e alla domenica per iniziative programmate) ha creato rapporti di fiducia con gli operatori, ed anche con le famiglie ancora presenti che ci hanno accolto con simpatia e fiducia.

  • Il nostro ruolo non istituzionale si è concentrato nel creare occasioni di apertura del Centro verso l’esterno e di uscita degli ospiti dal Centro verso le varie realtà del quartiere e oltre. Ha favorito l’esperienza la conoscenza di due tra noi di varie realtà del quartiere e della città che ha consentito di creare rapporti diretti con varie persone volontarie, alcune delle quali conoscevano già alcuni ospiti del Centro. In particolare è stato molto utile il rapporto con il Gruppo scuola per i percorsi educativi e di un Collettivo di giovani Baganza che opera sui temi della frequenza scolastica, della casa e della salute in alcuni quartieri della città per persone, prevalentemente immigrate dal meridione, a forte rischio di emarginazione sociale.

    Straordinari sono stati alcuni dei ragazzi di famiglie disagiate, spesso con genitori analfabeti, seguiti nel loro inserimento scolastico, che hanno trovato nell’impegno al Centro a giocare e aiutare ragazzi “più sfortunati” di loro un’occasione di aiuto e valorizzazione sociale delle loro abilità, anche attraverso le tante attività di vita quotidiana che sanno fare e che potevano insegnare con facilità e gratificazione personale.

  • La nostra attività ha coinvolto le Istituzioni del quartiere per fare in modo che diventassero aperte a tutti, anche a chi non ne aveva mai usufruito (dalle scuole al consiglio di quartiere, dalle parrocchie ai consultori) ed anche le aggregazioni spontanee per tentare di creare opportunità di socialità, riabilitazione, lavoro, capaci anche di creare nuovi spazi di attività ed anche di nuova occupazione orientata alla socialità ed ai diritti per tutti. Abbiamo sempre condiviso e trovato nella Provincia sostegno alle nostre proposte (in particolare dal direttore dei servizi territoriali Vincenzo Bagnasco)

  • Preliminare al lavoro fuori dal Centro è stato quello di una conoscenza approfondita delle persone presenti, con la creazione di un rapporto quotidiano di rispetto e fiducia e con la realizzazione di tante attività diverse che ci aiutassero a capire le capacità, gli interessi, i desideri dei ragazzi e delle ragazze presenti, anche i più gravi. Molto utile è stato a questo proposito, oltre naturalmente alla nostra “predisposizione” educativa e alla nostra empatia, il percorso realizzato durante il corso di formazione a Colorno con tanti esperti che ha portato all’idea della “cartelle delle capacità e dei bisogni” che deve sempre affiancarsi, ed anche superare, quella clinica che tende spesso a fissare la persona nella sua malattia e nel suo handicap.

    Per fare questo abbiamo provato con modalità assai diverse a coinvolgere gli ospiti del Centro in molte iniziative della vita quotidiana dentro e fuori dal Centro, riportando su un quaderno ogni settimana le nostre osservazioni.

  • Un lungo lavoro ha richiesto anche la preparazione dei vari luoghi di incontro e sperimentazione di attività comuni, con la giusta gradualità nella conoscenza e nelle proposte. Ci ha indubbiamente favorito il fatto di avere orari lunghi di servizio civile e il tempo di venti mesi, con la garanzia che il nostro lavoro avrebbe avuto continuità con altri obiettori e con volontari motivati.

    Credo che questo lavoro abbia anche aiutato a fare capire la nostra scelta politica a favore di una difesa nonviolenta della popolazione più fragile, cercando forme di accoglienza e convivenza che non escludano nessuno. Solo la costruzione di luoghi aperti a tutti in ogni luogo di vita potrà porre fine alle emarginazione delle persone più indifese in istituzioni totali chiuse e spesso violente.

Ecco ora in ordine cronologico, per sintesi, le attività svolte nei 20 mesi del servizio civile (da me, Turno e in seguito Raffaele).

  1. interventi programmati e condivisi con la scuola del quartiere dove era avviato l’inserimento di due ragazzi e una ragazza del Centro Lubiana; confronti e scambi con altre esperienze in altri quartieri e scuole, in particolare nel quartiere Montanara e nella scuola del Conservatorio dove erano presenti altri obiettori;

  2. uscite, passeggiate, inserimento in attività di quartiere, gite e soggiorni, anche stando via la notte, nel nostro Appennino e al mare con altri gruppi con alcuni ragazzi del Centro;

  3. programmazione di attività di gioco, formative (disegno, ceramica, fotografia, cinema) e momenti di festa aperti alle scuole del quartiere, e oltre, con preparazione dei materiali necessari e spesso dei dolci, cucinati insieme nella cucina del Centro Lubiana;

  4. doposcuola per tre pomeriggi alla settimana, con la collaborazione del Gruppo scuola e del Collettivo Baganza, coordinati con le scuole del quartiere per bambini in difficoltà e compagni di classe dei tre scolari del Centro;

  5. aiuto alla costituzione di una cooperativa di carto-rilegatoria, nel quartiere Molinetto, per attività lavorative dove inserire alcuni ragazzi/e con più di 15 anni con capacità di lavoro e socialità adeguate;

  6. relazioni costanti e attività per preparare l’inserimento di una ragazza del Centro ad andare a vivere in una famiglia disponibile all’affido;

  7. ricerca e predisposizione di un appartamento in un condominio del quartiere dove potere fare vivere due ragazzi del Centro con maggiori autonomie, aperto alla possibilità di ospitare altre due persone provenienti da Istituti fuori Parma, dopo attenta verifica, attraverso esperienze precedenti fatte insieme, della loro compatibilità di carattere e di vita;

  8. partecipazione alle attività per l’abilitazione manuale di una Fattoria appena fuori Parma, a Vigheffio, dove realizzare attività agricole e con gli animali dove inserire alcuni ragazzi del Centro insieme a chi già la frequenta, proveniente dall’ospedale psichiatrico di Colorno (ed anche due giovani tossicodipendenti);

  9. coordinamento costante delle attività con gli altri obiettori presenti in servizi diversi (gruppi appartamento per giovani in difficoltà, appartamenti per chi è uscito dall’ospedale psichiatrico di Colorno, laboratori protetti, Centro Santi, scuole, centri di quartiere) a Parma e a Colorno;

  10. attività per fare conoscere e promuovere il servizio civile alternativo al militare come importante occasione di impegno civico per sostenere e favorire la presenza delle persone più fragili nei luoghi di vita di tutti, creando rapporti di solidarietà e fiducia su cui costituire una società capace di difendere quanto previsto dalla nostra Costituzione.

Dopo i nostri venti mesi possiamo riportare questi risultati:

- due ragazzi e una ragazza del Centro sono pienamente inseriti a scuola (per una si è avviato l’inserimento nella scuola media);
- due ragazzi vivono in un appartamento, in attesa che possano ospitarne altri due, con un ottimo rapporto con i vicini e ben inseriti in attività di quartiere; li aiutano un infermiere, un animatore e due obiettori;
- due ragazzi sono tornati nella loro famiglia con attività durante la giornata e  la garanzia di un aiuto in ogni momento di difficoltà;
- una ragazza ha iniziato l’attività nella carto-rilegatoria che sta costituendosi come cooperativa attraverso un accordo con la Provincia;
- per i ragazzi più gravi presenti nel Centro il lavoro è stato prevalentemente di aiuto alla famiglie e alla realizzazione di attività che li stimolassero alla socialità ed alcune autonomie;
- con gli obiettori presenti a Colorno e al Centro Santi si sono svolte numerose attività per un giovane che ancora è nell’Ospedale psichiatrico e per evitare che un altro vi entrasse; in particolare si è lavorato in gruppo sulle attività teatrali, per sei mesi con prove per tre pomeriggi o sere alla settimana, con la rappresentazione di un testo in un teatro di quartiere; numerose sono state le uscite, anche al mare.

Ricordo ancora che tutte le attività sono state possibili grazie alla collaborazione con tutti i lavoratori del Centro Lubiana e il volontariato costante del Gruppo scuola e del Collettivo Baganza. In particolare le attività di doposcuola e del tempo libero hanno portato alla proposta e all’avvio di una scuola elementare pomeridiano per semianalfabeti, giovani e adulti, e un corso serale per il recupero delle medie di avvio imminente.

Per concludere posso dire che per tutti noi è stata un’esperienza appassionante, che ha richiesto una preparazione e una dedizione costanti. L’impegno è stato totale e mi dispiace, come coordinatore e referente dei rapporti con la Provincia, che non tutti gli obiettori l’abbiano vissuto con uguale entusiasmo e partecipazione. Dispiace che alcuni obiettori siano venuti a Parma solo in quanto unica possibilità presente per svolgere il loro servizio civile e non corrispondente ai loro interessi o aspirazioni.
I tanti frutti raccolti sono stati possibili proprio perché il lavoro è stato sempre condiviso con tutti e sostenuto dalla Provincia, sia politici sia responsabili dei servizi.
La scommessa della pace e di una società nonviolenta è troppo importante perché non ci si dedichi tutte le nostre energie. La sostituzione delle forze armate con una difesa civile nonviolenta richiede una società fortemente coesa, solidale, capace, partendo dalle persone più fragili, di difendere sé stessa, la propria storia e i valori costituzionali su cui è fondata.
Durante tutto il mio servizio civile sono anche stato nella segreteria nazionale della Lega obiettori di coscienza dove ho affermato e cercato di testimoniare la necessità di tenere uniti l’impegno per il disarmo e la pace con la costruzione di una società basata sui diritti per ogni cittadino partendo dalla difesa di quelli più emarginati e in difficoltà.
Mi piace anche ricordare che la Provincia di Parma nel suo faticoso e paziente percorso per ottenere la prima convenzione per il servizio civile alternativo al militare con il Ministero della difesa, in applicazione della legge 772 del 1972, ha fatto da apripista ad altri Enti locali, offrendo la possibilità di un servizio civile diffuso su tutto il territorio nazionale per molti obiettori di coscienza.

Ottobre 1977


Dopo il servizio civile ho insegnato per 40 anni cercando di vivere la nonviolenza anche nella relazione educativa. Su questa esperienza ho pubblicato un libro: “Quanto ho imparato insegnando” edito dalla Erickson.

Ho anche proseguito l’impegno sociale collaborando alla costituzione di 13 cooperative sociale e di 8 associazioni di volontariato. Su questa esperienza è possibile ricostruirne la storia nel mio contributo al libro: Katia Furlotti - Danilo Amadei, “Le cooperative sociali e gli Enti del Terzo settore. Caratteri di originalità e testimonianze sul territorio”, Giapichelli editore

Sono sempre rimasto attivo in associazioni nonviolente e sono tra i rappresentanti dei soci fondatori della Casa della Pace di Parma.

Con Mariangela siamo nonni di quattro nipoti.

(Questa testimonianza è tratta dal libro "Ora e sempre nonviolenza. Una testimonianza in un percorso collettivo" di Danilo Amadei, edito da Kriss Editore, 2024)




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