Presentazione del libro "J'Accuse" di Francesca Albanese

AssoPace Palestina sta continuando a mantenere alta l'attenzione sul conflitto a Gaza e far riflettere sulla narrazione della guerra in corso. Tra queste iniziative la presentazione del libro di Francesca Albanese, che raccoglie il suo lavoro svolto come Relatrice ONU e la pubblicazione delle riflessioni di Noemi Klein, giornalista, sull'utilizzo del BDS per fermare i crimini di guerra.
Dal mondo

Presentazione del libro "J'Accuse" di Francesca Albanese




REGISTRAZIONE INTEGRALE DELL'EVENTO

Giovedì 11 gennaio, nella Sala delle Bandiere del Parlamento Europeo a Roma, è stato presentato il libro “J’accuse” di Francesca Albanese.

Con la presenza di:

Roberta de Monticelli, filosofa italiana
Maurizio Donati,
editor responsabile di Fuoriscena, casa editrice di inchieste 
Wasim Dahmash, saggista, docente e traduttore palestinese


Con la coordinazione di Luisa Morgantini, presidente Assopace e
i saluti di Massimiliano Smeriglio, europarlamentare

Descrizione:


La verità prima di tutto è l’inizio del più famoso J’Accuse della storia moderna, quello di Émile Zola. La verità prima di tutto è anche il movente che ispira questo J’Accuse, che raccoglie la testimonianza della Relatrice speciale Onu sui territori palestinesi occupati da Israele dal 1967. Questo libro non nasce come un instant book. Prima degli attacchi del 7 ottobre 2023 – in un momento in cui l’attenzione mediatica sulla situazione in Israele e nei territori palestinesi occupati era prossima allo zero – J’Accuse voleva essere anzitutto uno strumento per comunicare ai lettori l’urgenza di un tema che non poteva essere ignorato. Attraverso il prezioso lavoro svolto da Francesca Albanese e confluito in tre Rapporti internazionali – presentati rispettivamente nell’ottobre 2022, nel luglio e nell’ottobre 2023 – era possibile documentare in maniera incontestabile l’affermarsi di una condizione di apartheid e di un’occupazione neocoloniale con migliaia di vittime. Questo fatto doveva essere portato all’attenzione del grande pubblico. Dopo il brutale e intollerabile attacco di Hamas, e dopo la guerra conseguente su Gaza, l’attenzione mediatica su Israele e Palestina è diventata massima, eppure resta impantanata in contrapposizioni fuorvianti (se critichi Israele stai con i terroristi; se porti l’attenzione sull’occupazione stai giustificando Hamas…), che impediscono la comprensione di una storia che non comincia il 7 ottobre. Il J’Accuse di Francesca Albanese non è l’intervento di parte di un’attivista ma è il contributo di una donna che svolge da anni un incarico di alto profilo istituzionale e che può aiutarci a vedere e a capire ciò che non vediamo. L’ampio saggio di Roberta De Monticelli che chiude il libro offre inoltre una visione profonda dei temi che questo conflitto ha messo in luce.
Copertina Libro Francesca Albanese


Immagine the Guardian

Abbiamo uno strumento per fermare i crimini di guerra di Israele: il BDS

Nel 2005, i palestinesi hanno chiesto al mondo di boicottare Israele finché non avesse rispettato il diritto internazionale. E se avessimo ascoltato?

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Esattamente 15 anni fa, questa settimana, ho pubblicato un articolo sul Guardian. Iniziava così:

Basta. È tempo di boicottaggio

Il momento è arrivato. Anzi, è passato da un pezzo. La strategia migliore per porre fine all’occupazione, sempre più sanguinosa, è che Israele diventi l’obiettivo di quel tipo di movimento globale che ha posto fine all’apartheid in Sudafrica. Nel luglio 2005, un’ampia coalizione di gruppi palestinesi ha presentato un piano per fare proprio questo. Hanno invitato “le persone di coscienza di tutto il mondo a imporre ampi boicottaggi e ad attuare iniziative di disinvestimento contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica nell’era dell’apartheid”. È nata la campagna Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).

Nel gennaio 2009, Israele ha scatenato una nuova scioccante fase di uccisioni di massa nella Striscia di Gaza, chiamando la sua feroce campagna di bombardamenti operazione ‘Piombo Fuso’. L’operazione ha ucciso 1.400 palestinesi in 22 giorni; il numero di vittime da parte israeliana è stato pari a 13. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e, dopo anni di reticenza, mi sono schierata pubblicamente a favore dell’appello guidato dai palestinesi per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele finché non rispetterà il diritto internazionale e i principi universali dei diritti umani, noto come BDS.

Sebbene il BDS godesse di un ampio sostegno da parte di oltre 170 organizzazioni della società civile palestinese, a livello internazionale il movimento è rimasto piccolo. Durante l’operazione ‘Piombo Fuso’, la situazione ha iniziato a cambiare e un numero crescente di gruppi studenteschi e sindacali al di fuori della Palestina ha aderito.

Tuttavia, molti non aderivano. Ho capito il motivo per cui la tattica proposta sembrava troppo difficile. Esiste infatti una lunga e dolorosa storia di imprese e istituzioni ebraiche prese di mira dagli antisemiti. I lobbysti esperti che esercitano pressioni a favore di Israele sanno come avvalersi di questo trauma, per cui invariabilmente presentano le campagne volte a contestare le politiche discriminatorie e violente di Israele come attacchi odiosi agli ebrei in generale.

Per due decenni, la paura diffusa derivante da questa falsa equiparazione ha protetto Israele dal dover affrontare il pieno potenziale del movimento BDS; ma ora, mentre la Corte Internazionale di Giustizia ascolta la devastante raccolta di prove secondo cui Israele commette il crimine di genocidio a Gaza, ce n’è davvero abbastanza.

Dal boicottaggio degli autobus al disinvestimento dai combustibili fossili, le tattiche BDS hanno una storia ben documentata come armi tra le più potenti dell’arsenale nonviolento. Riprenderle e usarle in questo momento di svolta per l’umanità è un obbligo morale.

La responsabilità è particolarmente forte per quelli di noi i cui governi continuano ad aiutare attivamente Israele con armi letali, accordi commerciali lucrativi e veti alle Nazioni Unite. Come ci ricorda il BDS, non dobbiamo lasciare che questi accordi sciagurati parlino a nome nostro senza essere contestati.

Gruppi di consumatori organizzati hanno il potere di boicottare le aziende che investono in insediamenti illegali o che producono armi israeliane. I sindacati possono spingere i loro fondi pensione a disinvestire da queste aziende. Le amministrazioni comunali possono selezionare gli appaltatori in base a criteri etici che vietino queste relazioni. Come ci ricorda Omar Barghouti, uno dei fondatori e leader del movimento BDS: “L’obbligo etico più profondo in questi tempi è quello di agire per porre fine alla complicità. Solo così possiamo davvero sperare di porre fine all’oppressione e alla violenza”.

In questo senso, il BDS merita di essere visto come una politica estera popolare, o una diplomazia dal basso; e se diventa abbastanza forte, finirà per costringere i governi a imporre sanzioni dall’alto, come sta cercando di fare il Sudafrica. E questa è chiaramente l’unica forza che può far uscire Israele dal suo attuale percorso.

Barghouti sottolinea che, proprio come alcuni sudafricani bianchi sostennero le campagne anti-apartheid durante quella lunga lotta, gli ebrei israeliani che si oppongono alle violazioni sistematiche del diritto internazionale da parte del loro Paese sono invitati a unirsi al BDS. Durante l’operazione ‘Piombo Fuso’, un gruppo di circa 500 israeliani, molti dei quali artisti e studiosi di spicco, ha fatto proprio questo, dando alla fine il nome di Boycott from Within al loro gruppo.

Nel mio articolo del 2009, citavo la loro prima lettera di pressione, che chiedeva “l’adozione di misure restrittive e sanzioni immediate” contro il loro Paese e tracciava un parallelo diretto con la lotta anti-apartheid sudafricana. “Il boicottaggio del Sudafrica è stato efficace”, sottolineavano, affermando che il boicottaggio aveva contribuito a porre fine alla legalizzazione della discriminazione e della ghettizzazione in quel Paese, aggiungendo: “Ma Israele è trattato con i guanti bianchi… Questo sostegno internazionale deve finire”.

Questo era vero 15 anni fa; lo è purtroppo anche oggi....CONTINUA A LEGGERE

di Naomi Klein, The Guardian | 10 gennaio 2024

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