Israele a processo davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Prima e dopo l'Aja

Facciamo il punto sulla situazione Israele - Palestina dopo le determinazioni della Corte internazionale dell’Aja sull’accusa di genocidio avanzata dal Sudafrica nei confronti di Israele. Qualcosa è cambiato? - La RASSEGNA STAMPA
Dal mondo

Israele a processo davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Prima e dopo l'Aja

su CITTÀ NUOVA ci spiega:

Gaza, crimine di genocidio e Corte Internazionale di Giustizia

Come e perchè il Sudafrica ha chiesto alla corte dell’Aja, principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, di avviare un procedimento per accertare le presunte violazioni di Israele degli obblighi derivanti dalla Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio del 1948.
La risposta di Israele, i punti da accertare e gli altri procedimenti in corso


Corte Internazionale di Giustizia. Avvocati del Sudafrica. Foto: ANSA EPA/REMKO DE WAAL

La drammatica situazione che dal 7 ottobre colpisce gli abitanti della Striscia di Gaza e interessa tutta la Terra Santa sta rischiando di destabilizzare e di innescare nuove tensioni in tutta la regione mediorientale. Questo è stato ribadito con forza nel recente discorso di papa Francesco ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede  in cui il papa ha auspicato «che la comunità internazionale percorra con determinazione la soluzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese, come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la Città di Gerusalemme, affinché israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza».

Da poco è stata azionata su questo tema una controversia giudiziaria di grande importanza, dalle forti ripercussioni non solo legali, ma anche politiche sulla credibilità internazionale di Israele.

IL CASO

Il 29 dicembre 2023, la Repubblica del Sudafrica ha presentato un ricorso contro lo Stato di Israele  davanti alla Corte Internazionale di Giustizia – quale principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite – nel contesto delle sue operazioni militari a Gaza. Il Sudafrica ha chiesto di avviare un procedimento per accertare le presunte violazioni di Israele degli obblighi derivanti dalla Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio delle Nazioni Unite del 1948[1], in relazione ai gravi fatti che stanno interessando la popolazione civile colpita nella Striscia di Gaza.

PERCHÉ  IL SUDAFRICA HA ADITO LA CORTE

Il primo interrogativo che ci si potrebbe porre attiene alla legittimazione del Sudafrica a presentare tale istanza, dal momento che tale Paese non risulta essere stato direttamente leso dalle predette violazioni.

Da un punto di vista politico, una spiegazione si riviene nelle ragioni storiche che avevano portato ad una intensa collaborazione militare e di sicurezza tra Israele e il Sudafrica nel periodo dell’apartheid degli anni Settanta e Ottanta e da cui derivò, in seguito, la dichiarazione di Mandela che la lotta dei sudafricani contro la segregazione razziale non si sarebbe conclusa finché anche quella dei palestinesi non avesse avuto un epilogo positivo.

Da un punto di vista giuridico, invece, la legittimazione e l’interesse ad agire del Sudafrica sussistono perché entrambi gli Stati sono Parti della medesima Convenzione. Quindi, generando tale trattato internazionale degli obblighi erga omnes partes di rispetto delle disposizioni in esso contenute, ogni Stato Parte che rilevi la violazione di una previsione della Convenzione può lamentare tale inadempimento davanti all’organo giudicante.

Ma vi è di più: con riferimento al divieto di genocidio, essendo esso ritenuto un principio di ius cogens (diritto cogente), dal momento che identifica un valore fondamentale dell’ordinamento giuridico internazionale di cui tutti devono garantire il rispetto, allora esso genera un obbligo erga omnes di rispetto, pertanto, in caso di violazione, tutta la comunità internazionale può sentirsi legittimata a chiederne l’accertamento e la conseguente condanna dello Stato violatore.

LA POSIZIONE DEL SUDAFRICA

Nel caso di specie, poi, il Sudafrica non si è limitato a chiedere l’accertamento della violazione delle disposizioni della Convenzione in parola, con la conseguente condanna di Israele, ma ha anche avanzato la richiesta, ai sensi dell’art. 41 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia e degli artt. 73, 74 e 75 del regolamento della medesima, di adozione di misure provvisorie tese a «proteggere da ulteriori, gravi e irreparabili danni i diritti del popolo palestinese ai sensi della Convenzione sul genocidio» e di «garantire il rispetto da parte di Israele dei suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio di non commettere genocidio e di prevenire e punire tale crimine».

In sostanza, le richieste si sono sostanziate in: a) una richiesta di sospensione delle operazioni militari e di totale cessate il-fuoco; b) l’adozione di ogni misura ragionevole tesa a punire e a prevenire condotte genocide e a prevenire l’eliminazione degli elementi di prova circa quanto avvenuto nel contesto del conflitto incorso; c) il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti di Gaza, permettendo l’ingresso nella Striscia degli aiuti umanitari; d) la disponibilità ad accogliere Commissioni d’inchiesta con mandato internazionale per agevolare l’accertamento dei fatti e le ricognizioni e d) la realizzazione di un rapporto da parte di Israele – entro una settimana dall’intimazione con ordinanza da parte della Corte – sull’attuazione di tali misure.

LA TESI DI ISRAELE

Nelle sue controdeduzioni, Israele ha, invece, sostenuto che il massacro subito il 7 ottobre scorso – ritenuto il peggiore dai tempi della Shoah – sarebbe il casus belli che avrebbe giustificato come necessaria la guerra difensiva contro Hamas. Le atrocità di tale gruppo terroristico giustificherebbero, quindi, l’esercizio del diritto legittimo di autotutela individuale e legittima difesa sancito dall’art. 51 dalla Carta delle Nazioni Unite.

Quindi, il duplice obiettivo militare dell’esercito israeliano sarebbe stato quello di estirpare la minaccia vitale per gli israeliani posta dai militanti di Hamas e di liberare i circa 136 ostaggi ancora detenuti nell’enclave devastata dal conflitto. Secondo questa tesi se si dovesse parlare di atti di genocidio, occorrerebbe considerare quelli subiti dai cittadini israeliani, che hanno dovuto affrontare sofferenze tragiche e strazianti durante gli scontri di questo periodo, come è emerso anche da testimonianze portate all’attenzione dei giudici della Corte circa le pratiche di tortura compiute dai combattenti di Hamas su intere famiglie israeliane – non risparmiando nemmeno i bambini – e di saccheggiamento delle loro abitazioni.

COSA DEVE ACCERTARE LA CORTE

Occorre puntualizzare che, per decidere sulla concessione di tali misure, la Corte dovrà accertare la presenza dei seguenti requisiti: i) la sussistenza di una giurisdizione prima facie; ii) l’esistenza di un legame tra i diritti di cui si lamenta la violazione e le misure cautelari richieste; iii) il rischio di pregiudizio grave e irreparabile; iv) la necessità d’intervenire d’urgenza e v) la plausibilità della configurazione del crimine di genocidio (criterio introdotto dopo la sentenza della Corte nel caso Belgio c. Senegal del 2009).

Un accertamento, quest’ultimo, che atterrà più compiutamente al merito della vicenda, ma che già in questa fase propedeutica si prospetta di difficile individuazione.

Questo perché, nonostante le numerose atrocità che stanno avvenendo nella Striscia di Gaza siano ormai ampiamente documentate, verificare se si tratti effettivamente di atti di genocidio richiede che si accerti il dolo specifico insieme agli atti contestati dal Sudafrica. Ciò significa che occorre dimostrare non soltanto che sia avvenuto il massacro di un popolo o di parte di esso, ma che chi l’ha commesso volesse distruggere quel popolo in quanto tale.

Il Sudafrica, nel suo ricorso, ha inteso dimostrare la plausibilità della commissione di tale crimine, nella fattispecie di incitamento diretto e pubblico a commettere il genocidio, attraverso l’allegazione delle dichiarazioni del primo ministro di Israele, del ministro della Difesa, di parlamentari ed esponenti politici di maggioranza da cui emergeva la necessità di radere al suolo Gaza, distruggendo le città e deportando altrove i palestinesi per ricolonizzare il territorio della Striscia. Secondo il Sudafrica queste affermazioni avrebbero creato un clima favorevole all’incitamento al genocidio che, di fatto, ha influito sul comportamento diverso dei soldati sul campo.

Di contro, Israele ha sostenuto che accogliere l’istanza di misure provvisorie del Sudafrica significherebbe negargli la capacità di adempiere ai propri obblighi di protezione nei confronti della difesa dei cittadini israeliani, degli ostaggi e dei numerosi sfollati israeliani che non possono rientrare in sicurezza nelle loro case. In più, i legali di Israele hanno asserito che l’esercito israeliano avrebbe dimostrato, con le sue condotte, di agire in modo diametralmente opposto rispetto ad un intento genocida, limitando gli attacchi a personale e strutture militari e in modo proporzionato.

Gli sforzi di Israele per mitigare i danni durante le operazioni militari e per alleviare le sofferenze dei civili si sarebbero sostanziati in campagne informative senza precedenti e diffuse largamente sul territorio tese ad avvisare i civili del conflitto imminente.

Se per la sentenza di merito bisognerà attendere qualche anno, già il prossimo mese potremo riscontrare l’ordinanza con cui la Corte avrà deciso sulla concessione di tali misure d’urgenza: ordinanza, questa, che è vincolante in base all’articolo 41 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia come interpretato dalla stessa Corte dell’Aja....CONTINUA A LEGGERE

[1] Israele, infatti, è Stato parte della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, avendo ratificato detto trattato in data 9 marzo 1950. Il Sudafrica, invece, ha aderito alla convenzione il 10 dicembre 1998.



 

ISRAELE: DOBBIAMO SPERARE IN UNA CONDANNA ALLA CORTE INTERNAZIONALE DELL’AJA 

Israele non è entrato in guerra per commettere un genocidio – su questo non c’è dubbio – ma lo sta commettendo di fatto, anche senza volerlo. Ogni giorno che passa in questa guerra, con le sue centinaia di morti, rafforza il sospetto. 

Chi vede l’inutile prosecuzione della guerra e le dimensioni delle uccisioni e delle distruzioni nella Striscia di Gaza, chi vuole porre fine alle sofferenze disumane di oltre due milioni di esseri umani deve sperare, anche se solo nel profondo del cuore, che la Corte internazionale di giustizia dell'Aia emetterà un provvedimento provvisorio ordinando la sospensione delle operazioni militari israeliane nella Striscia.
Non è facile per un israeliano desiderare un'ordinanza della Corte contro il proprio paese che possa anche portare a misure punitive nei suoi confronti, ma esiste un altro modo per fermare la guerra?
Non è facile sapere che il tuo Stato viene citato in giudizio da uno Stato che sa una o due cose sui regimi ingiusti e sul male, il cui leader fondatore è stato un modello morale per il mondo intero. Non è facile farsi portare davanti alla Corte internazionale dal Sudafrica; non è facile essere accusati di un genocidio presumibilmente commesso da uno Stato fondato sulle ceneri del più grande genocidio della storia.
Non è più possibile ignorare il fatto che sulla testa di Israele aleggiano i sospetti dei peggiori crimini contro l'umanità e contro il diritto internazionale. La gente ha smesso di parlare di occupazione; parlano di apartheid, di trasferimento involontario di popolazione, di pulizia etnica e di genocidio. Cosa potrebbe esserci di più eclatante di questi? Sembra che oggi non ci sia nessun altro Stato accusato di tutti questi reati.
Queste accuse non possono essere respinte a priori, né attribuite all’antisemitismo. Anche se alcune di esse sono esagerate e perfino infondate, l’indifferenza con cui vengono accolti qui – e, come sempre, rivolte contro l’accusatore – potrebbe essere una buona strada verso la negazione e la repressione, ma non per riabilitare il nome di Israele, molto di più. meno alla riparazione e alla guarigione del paese.
Più di 20.000 morti in tre mesi, tra cui migliaia di bambini, e la distruzione totale di interi quartieri, non possono che far sorgere il sospetto di genocidio. Le incredibili dichiarazioni di importanti personalità israeliane sulla necessità di ripulire la Striscia dai suoi abitanti o addirittura di distruggerli fanno sorgere il sospetto che si intenda effettuare una pulizia etnica. Israele merita di essere processato per entrambi.
Israele non è entrato in guerra per commettere un genocidio – su questo non c’è dubbio – ma lo sta commettendo di fatto, anche senza volerlo. Ogni giorno che passa in questa guerra, con le sue centinaia di morti, rafforza il sospetto. All'Aia bisognerà dimostrare l'intenzione, ed è possibile che ciò non avvenga. Questo esonera Israele?
Più fondato è il sospetto che si tratti di piani di pulizia etnica, di cui per ora non si parlerà all'Aia. Qui l'intenzione è aperta e dichiarata. La linea di difesa di Israele, secondo la quale i suoi ministri più anziani non rappresentano il governo, è ridicola. È improbabile che qualcuno la prenda sul serio.
Se il pro-trasferimento Bezalel Smotrich (ndr avvocato e politico israeliano, membro della Knesset, leader del Partito Sionista Religioso di estrema destra. Ministro delle Finanze nel governo Netanyahu VI dal dicembre 2022, Ministro dei Trasporti dal 2019 al 2020) non rappresenta il governo, cosa ci fa al suo interno? Se Benjamin Netanyahu non ha licenziato Itamar Ben-Gvir, come può il primo ministro essere irreprensibile?
Ma è l'atmosfera generale in Israele che dovrebbe preoccuparci ancora più di quanto sta accadendo all'Aia. Lo spirito del tempo punta ad un’ampia legittimità per commettere crimini di guerra. La pulizia etnica di Gaza e poi della Cisgiordania è già argomento di dibattito. L’uccisione di massa dei residenti di Gaza non è nemmeno un tema nel discorso israeliano.
Il problema di Gaza è nato da Israele nel 1948 quando espulse centinaia di migliaia di persone nel territorio in quella che fu certamente una completa pulizia etnica del sud di Israele: chiedi a Yigal Allon (ndr politico e generale israeliano, già comandante del Palmach e generale delle Forze di difesa israeliane. Durante la guerra arabo-israeliana del 1948 condusse alcune fra le più importanti operazioni belliche, su tutti e tre i fronti. Operazioni che garantirono agli israeliani il controllo dell'intero deserto del Negev per l'assegnazione del quale l'ONU non era riuscita ad esprimersi.). Israele non si è mai assunto la responsabilità di ciò.
Adesso i membri del gabinetto chiedono che il lavoro venga portato a termine anche nella Striscia. Il modo disgustoso in cui viene affrontata la questione del “giorno dopo” – la cosa principale è che Israele deciderà cosa e chi sarà a Gaza – dimostra solo che lo spirito del 1948 non è morto. Questo è ciò che Israele fece allora, ed è ciò che vuole fare ancora. La Corte internazionale di giustizia deciderà se ciò è sufficiente per una condanna per genocidio o altri crimini di guerra. Dal punto di vista della coscienza, la risposta è già stata data. 

Gideon Levy, un giornalista israeliano che Dal 1982 scrive per il quotidiano israeliano “Haaretz” e dal 2010 anche per il settimanale italiano “Internazionale”.

Articolo pubblicato il 7 gennaio 2024 sul quotidiano israeliano “Haaretz” con il titolo “Buona fortuna all'ICJ, gli israeliani dovrebbero sperare che decreti di fermare l'operazione a Gaza”. “Haaretz” (La Terra) è un quotidiano israeliano, fondato nel 1919. È pubblicato in lingua ebraica in formato Berliner. L'edizione in lingua inglese è la traduzione di questo giornale. In Israele è pubblicato e venduto assieme all’edizione internazionale del “New York Times”. Le edizioni ebraica e inglese sono disponibili su Internet. “Haaretz” è noto per le sue posizioni di sinistra e progressiste su questioni interne e internazionali. Nel 2022, “Haaretz” è risultato il terzo quotidiano in Israele per diffusione. Tradotto da viandanti.org




28 GENNAIO 2024
Roberta De Monticelli su Il MANIFESTO ci spiega:

Dopo l’Aja. Il nesso spezzato tra unicita' e imputabilita'

ilmanifesto foto


Raramente è dato assistere a momenti che definiscono la storia. I 45 minuti di lettura delle determinazioni della Corte internazionale dell’Aja sull’accusa di genocidio portata dal Sudafrica nei confronti di Israele lo sono.

Sotto gli occhi dell’umanità intera, in diretta, la Corte del mondo ha ridefinito, riaffermandolo, il senso del «mai più» da cui era nata. La sentenza ha spezzato per la prima volta il nesso fra l’unicità della Shoah e l’eccezionalismo di Israele, quale finora si era manifestato: come scudo contro l’imputabilità di tutte le violazioni legate all’occupazione dei territori palestinesi, e come immunità e impunità rispetto alle norme del Diritto internazionale. Edward Said aveva spesso parlato della difficoltà che abbiamo a riconoscere l’esistenza di «vittime delle Vittime» – per antonomasia. Raz Segal, docente di Studi sull’olocausto e il genocidio, aveva affermato che proprio questo nesso assicurava a Israele una sorta di «impunità nativa». Questo nesso è spezzato. Possiamo riconoscere l’unicità di quel genocidio, senza dover ammettere che lo stato ebraico di Israele non sia imputabile di crimini contro l’umanità, incluso quello di genocidio. Questo tabù è tolto.

Perché qualunque sia l’efficacia degli obblighi imposti oggi dalla Corte a Israele, restano due fatti che nessuno al mondo potrà più negare: che la Corte ha rigettato esplicitamente la richiesta israeliana di archiviazione dell’accusa di genocidio nei confronti dei palestinesi (e implicitamente rifiutato il Dipartimento di Stato americano che aveva dichiarato infondata l’accusa sudafricana). E che l’accusa è stata dichiarata non infondata, ovvero «plausibile». Cioè, Israele si trova in effetti a processo di fronte all’umanità per difendersi dall’accusa di genocidio, qualunque possa essere poi la sentenza definitiva.

Può stupire o no che Netanyahu abbia messo sullo stesso piano la Corte e Hamas, con la sua frase «nessuno ci fermerà, né l’Aja né l’asse del male». Che risponde a una lunga tradizione di pronunciamenti ostili a qualunque vincolo giuridico posto sulla sovranità israeliana: fu ad esempio già Ben Gurion ad affermare che i confini dello stato di Israele non sarebbe stato l’Onu a deciderli.

Questa volta però le cose sono molto diverse: non si tratta di eventi politici, come le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu o una raccomandazione dell’Assemblea generale. Per la prima volta gli obblighi cui il diritto internazionale assoggetta Israele sono vincolanti. Naturalmente non è la Corte che può renderli anche efficaci. Ma la Corte impegna tutti cioè tutti noi, popoli degli stati che ne riconoscono la giurisdizione, ad agire per renderli efficaci, oppure a disconoscere davanti al mondo i vincoli legali e morali che noi stessi ci siamo dati. Sopprimendo così di fatto la supremazia del diritto internazionale sull’arbitrio degli stati nazionali, e tornando ad accettare in pieno la selva geopolitica e la barbarie delle sue guerre. In questo senso, sì, «di questa sentenza ci si ricorderà per generazioni», come Netanyahu ha anche affermato. Non però perché sia «vergognosa», ma perché ha sancito la responsabilità che tutti noi avremo se lasceremo che gli obblighi siano disattesi...CONTINUA A LEGGERE

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